Non chiamatela «piccola Provenza». Ci sono i campi di lavanda, ma è quella officinale, non quella ibrida che i francesi hanno piantato per aumentare la quantità del raccolto.
Ci sono le erbe officinali come la salvia, il rosmarino, la menta, la melissa. Ma sono lavorate a mano, in piccoli appezzamenti, in modo biodinamico, non le grandi coltivazioni estensive al di là delle Alpi. Certo, i coltivi sono simili, ma i paesaggi sono completamente diversi: alle assolate pianure si sostituiscono fitti boschi collinari, al posto del torrido clima dell’entroterra costiero c’è il Marin, vento caldo che muove ogni fuso di lavanda spandendo per l’aria il suo inconfondibile profumo.
Non chiamatela dunque «Provenza», perché siamo in Alta Langa, precisamente a Sale San Giovanni, nell’ultimo lembo di colline piemontesi prima dell’Appennino che porta a Savona e Finale Ligure: terra di sperduta bellezza, di isolati borghi di pietra che sorgono fra boschi e campi di grano, vicino alle Sorgenti del Belbo, dove crescono ancora le orchidee spontanee.
Qui, verso la metà degli anni ’90, l’agricoltura cercava un rilancio. Il vino, scomparso a causa della fillossera, non era più tornato, il mais non aveva sufficienti estensioni. Anche le pecore della Langhe, piano piano stavano sparendo. Vennero tentate le strade dell’elicicoltura, l’allevamento di lumache e quelle delle leguminose. Ma cosa davvero attecchì fu la coltivazione di erbe officinali: la lavanda ovviamente, ma anche salvia, rosmarino, issopo, il finocchio, elicriso, camomilla romana e molte altre.
DALLA TERRA AI SOCIAL
Furono agricoltori giovani a piantare per primi la lavanda, nipoti di quella generazione che aveva vissuto sulla sua pelle gli anni della Malora e poi, quelli dello spopolamento e dell’abbandono. Capirono che i suoli poveri dell’Alta Langa, marnosi e calcarei, difficilmente irrigabili, potevano rappresentare l’habitat adatto per piante molto resistenti alla siccità, rustiche, ma dalle rinomate proprietà.
Oggi le aziende che producono erbe officinali sono 4, distribuite su circa 40 ettari e riunite in una cooperativa che segue un’agricoltura biologica e biodinamica. Le lavorazioni in campo sono tutte a mano ed evitano qualsiasi diserbo che non sia meccanico. Gli oli essenziali vengono estratti a Spigno Monferrato e venduti ad una clientela esigente, di altissimo livello, che cerca prodotti puri, non contaminati, di qualità superiore.
Se l’intuito dei giovani ha portato le erbe officinali a Sale San Giovanni, sono i “giovani dei social” ad averle consacrate a fenomeno turistico. Blogger, instagrammer e semplici abitanti della zona hanno cominciato a postare immagini dei dintorni di Sale: il selfie fra la lavanda è diventato un must per quelli che si trovano a passere nelle Langhe con un cellulare. Durante l’annuale festa della fioritura, che si celebra a fine giugno, bisogna aspettare decine di minuti sotto il solleone prima di trovare un ciuffo di lavanda in cui non ci sembri di essere in Piazza Duomo a Milano.
«Il bello di questi posti è che sono assai diversi dalla Provenza», racconta il sindaco di Sale San Giovanni, Germone Costantino. «I campi di elicriso o di lavanda si alternano a fitti boschi e campi di grano, abbarbicati sul dorso di colline alte e scoscese, poco antropizzate, ricchissime di biodiversità: un paesaggio unico ed eccezionale, che stupisce profondamente i visitatori». In paese è stato anche aperto uno shop dedicato alle erbe, in modo che i visitatori possano acquistare prodotti ottenuti dagli oli essenziali a km0.
NON SOLO ERBE
Non solo erbe è il nome della manifestazione che si celebra a Sale San Giovanni l’ultimo weekend di giugno. Perché non di sole erbe vivono i suoi abitanti. Accanto a lavanda & company, il borgo piemontese ha riscoperto un’antica varietà farro che, attentamente selezionata da semi selvatici, ha dato origine all’Enkir, nome scientifico triticum monococcum. Grazie alle ricerche e al supporto del Mulino Marino, l’Enkir è stato messo a coltura in terreni dell’Alta Langa, oltre i 500 metri: rustico e assai robusto, ha contribuito a recuperare terreni marginali e abbandonati che oggi, grazie al pregio delle farine ottenute, portano nuovo reddito.
L’Enkir è quantomeno particolare. Povero di glutine, altamente digeribile, è un grano la cui forza vegetativa “elimina” naturalmente le piante infestanti: il che significa meno concimazioni, niente diserbanti e un’agricoltura che si presta alle pratiche biologiche.
«Negli ulti tempi», conclude il sindaco Germone, «stiamo lavorando sul disciplinare di un nuovo prodotto a base di Enkir, una ricetta antica con cui si producevano dei fazin (tipo cracker) cotti sulla stufa. Vorremmo che diventasse una De.C.O, ovvero una denominazione comunale, contribuendo a legare sempre di più questo cereale al il nostro paese».
Tutte le foto pubblicate sono gentile concessione di Daniela Tirelli Molinari
Post a cura della Redazione di Langa del Sole