Danza rinascimento

Quando si pensa alla musica e al ballo delle Langhe, immediatamente li si associa alle orchestre di liscio, al celebre e diffusissimo ballo a palchetto oppure, estendendo i confini delle colline fino alle vicine valli, alle danze occitane, accompagnate dai ritmi scanditi dalle ghironde.

Musica e ballo, in effetti, sono strettamente legati all’interno dei contesti rurali, usanza che potrebbe risalire all’uso dei Greci, che componevano musiche soprattutto per i momenti conviviali. Danza, ballo e canto erano inoltre il modo d’espressione del coro all’interno delle rappresentazioni teatrali, la forma collettiva – corale appunto – attraverso cui il tragediografo faceva esprimere la collettività.

Ballo a palchetto, liscio e danze occitane, tuttavia, sono fenomeni relativamente recenti sulle colline delle Langhe, che risalgono al XIX secolo o sono il risultato, più o meno riuscito, di un’importazione culturale dalle vicine valli cuneesi, quelle sì appartenenti da millenni ai Pays d’Oc.

Uno dei documenti più antichi sul modo in cui si presentavano musica e danze sulle colline di Langa ci viene donato da un’opera sotto gli occhi di molti, ma ignorata dai più. Si tratta delle formelle in cotto che adornano il palazzo Do nel centro storico di Alba: quarantanove fittili che rappresentano l’incedere di una carovana danzante, con musicisti e ballerini, inquadrati da amorini che reggono festoni floreali.

Casa Do Alba
Casa Do ad Alba, le formelle di cotto segnano la fascia di marcapiano

Come suggerisce la musicologa Cristina Santarelli, le formelle di palazzo Do, risalenti alla metà del XV secolo, sono una delle testimonianze visive più antiche che possediamo sul tempo della festa delle Langhe. «Ogni bassorilievo può essere considerato un fotogramma di una sequenza che dà vita ad una danza», ha recentemente commentato l’antropologo Piercarlo Grimaldi, che si sta occupando di uno studio figurativo sulle formelle, «nello specifico il contenuto di ogni immagine è la rappresentazione del tempo festivo della Langa tardomedievale».

È interessante notare che i fittili di Alba rappresentano un esempio di Danza dei folli, un momento carnascialesco in cui si distinguono giullari, suonatori di tamburi e flauti, ballerini, figure femminili ornate di sonagli disposti a bandoliera sulle vesti e, particolare unico per questo tipo di raffigurazione, fanciulli a cavallo che brandiscono spade e bastoni. L’iconografia albese è importante perché rimanda a opere simili trovate a Milano e conservate nella collezione Werner Abegg di Riggisberg (Berna): segno che connette Alba agli usi e i costumi del protorinascimento italiano. Una scena assai simile, riportava l’architetto e archeologo Alfredo d’Andrade durante la sua visita ad Alba nel 1883, «le rappresentazioni di balli di giullari e matti come si vede nel fregio della casa d’Alba è un fatto che ha riscontro in altri monumenti», tra cui la facciata dell’osteria di Lagnasco, oggi perduta.

È proprio durante il Rinascimento che la musica, relegata dal medioevo a canto sacro, ritorna prepotentemente sulla scena pubblica. La corte e il palazzo sono dove il potere del signore può manifestarsi in feste e banchetti, accompagnati da danze e musiche composta per l’occasione. Dai palazzi alle piazze, la musica si trasforma (o ri-trasforma) in piacere mondano e collettivo: dal raffinato madrigale del XIV secolo, accompagnato dagli endecasillabi dei poeti cortigiani, è facile immaginare discendano composizioni più popolari, caratterizzate da andamenti frottolistici e abitudini carnascialesche, massima espressione della musica folkloristica, intesa come bene collettivo, fruibile da tutti attraverso la voce e la danza.

Nella loro semplicità, le formelle di palazzo Do ci svelano la profonda connessione tra le Langhe, territorio comunque periferico, e i centri di irradiazione della cultura rinascimentale del Nord Italia, a sua volta influenzata, nella musica e nelle danze, dalla colonizzazione fiamminga delle arti, che verso la fine del ’400 raggiunge il suo apice.

Quando pensiamo allora alla musica popolare e alle danze tradizionali delle Langhe prima delle polke, delle gavotte, dei valzer e delle mazurke, pensiamo che fu il Rinascimento fiammingo a giungere sulle nostre colline e a far danzare al suono di liuti arpe e tamburi le nostre genti.

Il 28 settembre, a diano d’Alba, in occasione del Servaj Festival verranno suonate musiche rinascimentali con strumenti d’epoca, acompagnate da balli e coreografie. Scopri il programma sul nostro sito — www.langadelsole.it

 

PRIMA DELLA DANZA DEI FOLLI, IL BAL DO SABRE

Per completezza di informazione è bene ricordare che la Danz a dei Folli, molto probabilmente, trova origini e ispirazioni da quella più antica e difficile da catalogare, detta moresca. Una danza scaramantica e propiziatoria, stratificazione e catarsi delle battaglie che l’entroterra costiero (in tutto il Mediterraneo latino) dovette combattere contro le invasioni saracene. Battaglie che, a loro volta, diventano simboliche: i mori cessano di essere avversari e diventano l’incarnazione del buio, del sotterraneo e del male, demoni a cui gli uomini devono strappare il dominio della luce e la fertilità del terreno. È quello che avviene ancora oggi a Bagnasco, appena oltre il confine meridionale delle Langhe. Gli abitanti hanno conservato il Bal do sabre, la danza degli “spadonari”. Sebbene la coreografia sembri rappresentare la fine di un Condannato che ha rifiutato di dare sua figlia in sposa al capo dei Saraceni, il significato della danza rimanda alle stagioni, alla morte dell’inverno e alla rinascita della primavera, con tutti gli eventi drammatici, le lotte e le speranze per un futuro – e un raccolto – migliore.

Il Bal do sabre nel dopoguerra
Bal do sabre, rievocazione contemporanea