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L’Alta Langa è celebre per i boschi, le nocciole, i formaggi di pecora e la natura selvaggia. Ma i vini? Possibile che un territorio come quello dell’Alta Langa, prolungamento diretto delle Langhe di Barolo e Barbaresco non abbia una sua produzione enoica?

Ebbene, l’Alta Langa non è affatto un deserto vitivinicolo, al contrario produce ottimi vini, certo non blasonati come quelli della Bassa Langa e, ovviamente, in quantità inferiori data l’estensione decisamente ristretta della sua area vitata. Eppure, un tempo, le colline dell’Alta Langa dovevano accogliere molti più filari di oggi. Prova ne sono le centinaia di chilometri di terrazzamenti in pietra costruiti sulle dorsali meglio esposte al sole. Qui è ancora possibile scorgere qualche filare e scoprire viti centenarie, segno che – un tempo – la viticoltura era parte integrante del paesaggio.

A partire dal 1879, il Piemonte fu tra le prime regioni colpite dalla fillossera. Immensi territori destinati alla viticoltura scomparvero, letteralmente “divorati” dalla peste della vite, l’insetto chiamato Viteus vitifoliae il cui morso provoca danni alle radici e, in breve, la morte della pianta.

La ricostituzione post-fillosserica portò a un radicale rinnovamento, che scelse di valorizzare le aree storicamente più vocate e blasonate, marginalizzando quelle più periferiche come l’Alta Langa. Qui, nel frattempo, le viti vennero sostituite con la più redditizia corilicoltura – la coltivazione della nocciola – l’orticoltura o la coltivazione di cereali. Molti campi furono destinati al pascolo, in particolar modo delle Pecore delle Langhe, che tutt’oggi – anche se i capi sono sempre meno numerosi – regalano formaggi di prima qualità, come il Murazzano Dop.

L’Alta Langa era – ed in parte lo è tutt’ora – un territorio certamente più sfidante per la vite. Le colline raggiungono quasi gli 800 metri d’altitudine, sono più esposti ai venti e, d’inverno, le temperature sono più ben più rigide di quelle delle colline di Barolo, per fare un esempio. Ma la salubrità dell’ambiente è certamente più marcata, come la biodiversità dell’ecosistema. I suoli, infine, hanno un’origine simile a quello delle basse Langhe, antichi fondali marini caratterizzati da marne e calcare, con una presenza di scheletro più cospicua: le famose pietre di Langa. Terreni di sicuro meno sciolta, sabbiosa e lavorabili, che già Beppe Fenoglio, nel suo romanzo La malora, aveva imparato a distinguere:

Ho in mente una dozzina di giornate, non di più, ma tutte a solatio, da tenere mezze a grano e mezze a viti. Con una riva da legna e anche un pratolino da mantenerci due pecore e una mula. Con una riva da legna e anche un pratolino da mantenerci due pecore e una mula. Per concimarlo basterà la cenere del forno.

– E dove sarebbe questa terra?

Tobia si alzò sui ginocchi per tirare più comodo un peto e poi si riabbassò: – Mica qui, mica su questa langa porca che ti piglia la pelle a montarla prima che a lavorarla. Io me la sogno su una di quelle collinette chiare subito sopra Alba, dove la neve ha appena toccato che già se ne va.

Beppe Fenoglio, La malora

I VINI DELL’ALTA LANGA

Anche se abbandonata dai produttori viticoli, l’Alta Langa non ha smesso di produrre vini. Lo ha fatto su tre principali dorsali: quella “albese” che collega Diano d’Alba, Montelupo e Rodello; quella “neivese” che da Trezzo Tinella sale a Mango; e quella della Valle Belbo, dove tutt’ora si produce la stragrande maggioranza dei vini dell’Alta Langa, tra Santo Stefano Belbo e Castino.

Sull’Alta Langa “albese” si coltiva soprattutto il dolcetto, vitigno onnipresente in Piemonte che, in queste zone ben assolate, trova una particolare vocazione qualitativa. Un’eccellenza che tra Diano e Montelupo viene riconosciuta dalla Docg (la denominazione italiana più importante per il vino) Dolcetto di Diano d’Alba o, semplicemente, Diano d’Alba.

L’Alta Langa vicino a Neive, invece, è celebre per il vitigno moscato bianco, da cui si ottengono il Moscato d’Asti e l’Asti spumante Docg.

Infine, in Valle Belbo si coltivano nebbiolo, dolcetto, moscato e barbera (ma anche favorita e arneis) che vengono vinificati in etichette a denominazione Langhe o Piemonte Doc.

UN NUOVO VINO PER L’ALTA LANGA

Sebbene per piccoli passi, oggi assistiamo a una rinascita vitivinicola dell’Alta Langa. Sono due i fattori del ritorno della vite in questo territorio di “colline alte” e, apparentemente, contraddittori. Da una parte abbiamo il global warming che, provocando un innalzamento delle temperature, ha trasformato molte aree considerate umide e fredde in zone altamente appetibili alla viticoltura. Le varietà impiantate, però, non sono quelle canoniche perché i produttori che acquistano in Alta Langa scelgono di sperimentare, mettendo a dimora vitigni internazionali come Cabernet Sauvignon, Pinot Nero, Merlot, Riesling, Chardonnay.

Dall’altra, c’è il successo di un vino che, proprio le temperature più rigide, hanno reso migliore. Si tratta dell’Alta Langa Docg, che trae il nome dal suo territorio d’origine, un Metodo Classico ottenuto – come lo Champagne – solo da une Pinot Nero e Chardonnay. I suoli marnoso-calcarei dell’Alta Langa e le temperature più fredde contribuiscono a raccogliere uve croccanti e naturalmente acide, che si esprimono con eleganza e freschezza in vini di grande finezza. L’Alta Langa Docg è, attualmente, una delle denominazioni più in crescita di tutto il Piemonte, con decine di produttori pronti a “rilevare” nuovi appezzamenti in zone finora dimenticate.

Tra boschi, noccioleti e pascoli torneranno davvero le uve?


Credits delle immagini – Consorzio Alta Langa