Pecora delle Langhe

Ho in mente una dozzina di giornate, non di più, ma tutte a solatio, da tenere mezze a grano e mezze a viti. Con una riva da legna e anche un pratolino da mantenerci due pecore e una mula.

Beppe Fenoglio, La malora

È questa l’ambizione di una vita di duro lavoro che Tobia Rabino confessa al figlio Jano, mentre Agostino, che lavora per loro come bracciante, origlia di nascosto. Siamo nelle prime pagine della Malora di Beppe Fenoglio: tra la fatica della campagna, l’ineliminabile povertà e la rude mascolinità dei protagonisti, il sogno bucolico di Tobia è un limpido raggio di sole dopo settimane di diluvio.

Pecora delle Langhe

GRANO, VINO E PECORE

Grano e viti. Prati e legna. Una mula e le pecore. Ecco il sogno di benessere degli abitanti della Langa profonda, quella «langa porca», come dirà subito dopo Tobia, «che ti piglia la pelle a montarla prima che a lavorarla». Se il grano, la vite e i boschi sono l’ovvio sostentamento della gente di collina, così come i muli il mezzo di trasporto, colpisce il riferimento alle pecore. Tra gli onnipresenti campi di vite e i noccioleti a perdita d’occhio, spesso dimentichiamo che la Langa, specialmente l’Alta Langa, fu terra di pastorizia, e pastorizia di pecore. Ancora una volta occorre leggere Fenoglio per ritrovare le tracce di questa vocazione. Nei cosiddetti Racconti del Parentado, quelli legati all’alta Valle Belbo per intenderci, il belare è suono assai familiare: si ode fra i campi delimitati dai rittani, tra le mura delle case costruite accanto alle stalle, nel silenzio della notte e alle prime luci dell’alba, sulle rive del fiume Belbo, dove le pecore venivano abbeverate.

L’allevamento legato alla Pecora delle Langhe rappresenta uno dei più autentici del comparto zootecnico tradizionale del Piemonte. La presenza dei greggi a carattere familiare ha davvero segnato il territorio dell’Alta Langa: la loro gestione ha scandito negli anni il lavoro e le abitudini domestiche. Tutte le famiglie avevano le pecore: da una manciata per ricavarne latte e lana, a due dozzine se integravano il reddito producendo robiole o tume fresche che venivano portate al mercato di Murazzano, il più importante delle Langhe. Erano soprattutto le donne ad occuparsi della produzione di formaggio: mentre gli uomini si rivolgevano ai campi e alle vacche, mandavano i bambini al pascolo. Mungevano quotidianamente le pecore e quotidianamente formavano le robiole, con una tecnologia casalinga: un fuoco, un pentolone e un po’ di caglio. Durante l’estate non era necessario neppure riscaldare il latte: si cagliava a temperatura ambiente e si riponevano le forme in canestri di giunco.

UNA RAZZA A RISCHIO

È dai registri di Murazzano che si capisce la diffusione della Pecora delle Langhe. Fino agli anni ’50 i capi censiti erano oltre 45 mila, tanti che era possibile imbattersi in greggi oltre i confini locali: la Pecora delle Langhe si vendeva in tutta Italia e si racconta un allevatore meridionale ne acquistò oltre millecinquecento per pascolarle in Puglia.

Dopo il boom economico e la corsa all’impiego nell’industria, cala il silenzio sui pascoli dell’Alta Langa. I borghi si spopolano e i nuclei familiari, composti per lo più da anziani, abbandonano la pastorizia. Nelle Langhe ci si dedica ad attività più redditizie: il vino, i noccioleti, la nascente accoglienza turistica. Nel giro di 20 anni sparisce oltre il 90% delle Pecore delle Langhe. All’altezza degli anni ’80 si contano meno di 3 mila capi e non sono pochi gli addetti ai lavori che ne prospettano la completa estinzione. A salvare le greggi rimaste è un disciplinare: quello del Murazzano Dop che, recuperando la lavorazione tradizionale, prevede che almeno il 40% del formaggio derivi da latte di Pecora delle Langhe. In poco tempo il Murazzano Dop conquista il suo mercato, viene venduto a buon prezzo ed è riconosciuto come prodotto autentico dell’Alta Langa. Gli allevamenti si concentrano in greggi più numerose, nascono nuovi caseifici, ma le Pecore delle Langhe continuano a diminuire. Dei 30 associati del Consorzio, oggi ne rimangono 4, e la popolazione di pecore scende sotto i 2300 esemplari, prospettando, tra gli allevatori, una crisi da depressione di consanguineità che, a lungo andare, indebolisce la produttività della pecore perché soggette a poca “diversificazione genetica”.

Il “problema” della Pecora delle Langhe è anche la sua polivalenza: era allevata per l’ottimo latte, l’eccellente carne e la buona produzione di lana. Una duttilità che, se splendeva all’interno di mondo contadino costantemente sulla soglia della povertà, oggi perde la competizione con razze più specializzate. La pecora delle Langhe è un animale “generoso” ma altrettanto esigente: pesa il doppio di una pecora sarda e richiede molte attenzioni, economiche e di allevamento. Ha una caratteristica, però, non trascurabile: il suo isolamento e i suoi numeri contenuti la rendono un animale difficilmente attaccabile dalle malattie, tanto che ancora oggi viene utilizzata per creare razze ibride più resistenti.

Altra questione è quella del lupo, timidamente ma stabilmente riapparso sulle colline della Langa profonda. Nel 2018 sono state documentate quasi 100 uccisioni che, su di una popolazione tanto modesta, rappresentano una minaccia non trascurabile.

Paroldo casa in pietra di langa
Casa in pietra di Langa a Paroldo

IL MUSEO DELLA PECORA DELLE LANGHE E LA FORMAZIONE DEI NUOVI PASTORI

Salvare la Pecora delle Langhe è una questione economica e politica, ma anche culturale. È questa la strada intrapresa dal Comune di Paroldo che oggi, grazie al progetto Langa del Sole finanziato dalla Fondazione Crc, ha inaugurato il cantiere che porterà alla creazione del Museo della Pecora e del Formaggio delle Langhe. Allestito nelle case di pietra della Borgata Cavallini, ospiterà documenti, video e testimonianze di quel rapporto particolare che univa le Langhe alle pecore e le pecore alle famiglie e, soprattutto, alle donne di Langa. Accanto al Museo, che avrà la funzione di archivio storico e di promozione turistica, nascerà una Scuola di pastorizia: un centro di formazione che aiuterà i nuovi pastori a capire e far fruttare la filiera della Pecora delle Langhe in ottica imprenditoriale. Un atto dovuto, coraggioso e a lungo sognato, un tributo e un rilancio che, si spera, possano portare nuova attenzione su di un aspetto nei secoli, ha formato la stessa identità dell’Alta Langa.